mercoledì 23 febbraio 2011

Locomotif live @ Catania

La prima cosa che voglio dire è che la valigia vintage di cuoio, presa a simbolo dalla band, esiste. E contiene l’aerosol della cantante.

Non è la prima volta che vado a vedere i Locomotif dal vivo, ma stavolta riesco ad assistere anche al soundcheck. Che potrebbe sembrare un momento morto, ma che è invece rivelatore di una moltitudine di cose che altrimenti passerebbero inosservate. Le dinamiche fra i membri della band ad esempio, o il loro modo di fare musica.

La sala è praticamente vuota, ma a Federica basta intonare qualche nota perché si riempia di eleganza. A vederla giù dal palco sembra essere la tua cuginetta, ma quando sale sul palco si circonda in maniera così accurata del fascino della sua voce che ti pare di trovarti una cantante francese degli anni ruggenti. La sua non è un’eleganza oldie, ma un modo diverso e più contemporaneo di trasmettere gli insegnamenti delle grandi del passato. Billie Holiday ad esempio, che indica come sua musa ispiratrice, ma poi pensi anche agli Zero7 e a quei suoni B-side capaci di portarti verso atmosfere diverse dal solito.

Oltre a Federica Faranda i Locomotif sono Luca Barchitta alla batteria, Gianluca Ricceri al basso e Carmine Ruffino al Rodhes. Parte integrante dei Locomotif è anche Sergio Sallicano, presente musicalmente come autore di tre delle canzoni del loro album Twimog (sue sono Twimog, Lost on the run e Drunken dreams).

Carmine mi viene indicato come il “dittatore” del gruppo, colui il quale si occupa di mantenere la direzione della band e a preoccuparsi che tutto vada come stabilito. “Sono molto preciso quando si tratta di musica, credo che debba essere fatta in maniera professionale anche se si tratta ‘solo’ di una passione. Non concepisco – continua – come si possa improvvisare sul palco. E’ invece necessario un approccio professionale che abbia cura del particolare”.

Non si tratta però di una dittatura che segna le scelte artistiche della band, che mi rivelano essere le più diverse e variegate. Al centro di tutto c’è però la voce di Federica e la sua formazione jazz, che necessita di un riguardo particolare al momento della composizione. “Eppure io mi sento quella un po’ a margine di tutto – confessa -. Nonostante siano loro a seguire me io a volte mi trovo in difficoltà perché le mie spiegazioni si risolvono in indicazioni generiche che il resto della band deve riuscire a seguire.”

È di Carmine pure la passione per il vintage rappresentata innanzitutto dalla famosa valigia-simbolo, ma anche dalla scelta di usare sul palco il Rhodes che mi spiega essere un piano elettromeccanico del peso di ben 60 kg. Uno strumento originale che ha riparato pezzo per volta durante il corso degli anni.

La loro musica è un crescendo costante che sembra voler esplodere da un momento all’altro, ma che si arresta proprio nel momento in cui ti aspetti un’apertura. Il risultato è un’eterna tensione e un clima di attesa quasi erotico che non si dispiega mai completamente, catturando completamente l’attenzione del pubblico. In questo clima si affacciano diverse influenze musicali che si nascondono un momento prima di venire captate. Fanno capolino momenti musicali diversi da loro, fra cui si riesce a scorgere anche drum&bass ed elettronica, ma che scompaiono subito dopo, inglobati come pesci dalle onde.

La scelta di non avere un chitarrista viene appunto da questo – mi spiega Carmine -. Oltre al fatto che per natura non riesco ad andare d’accordo con loro, la nostra è una scelta dovuta appunto a questo clima di tensione che abbiamo intenzione di mantenere. I chitarristi invece non riescono a trattenersi ed esplodono in assoli infiniti, facendo precipitare l’aspettativa che si era creata. L’esplosione non avvenuta è una nostra precisa scelta”.

Sul palco mancano le campanelle, suonate da Federica, perché il “re” le è stato rubato durante una serata precedente. “Io vorrei sapere che se ne fa la gente di una campanella” mi dice delusa.

A concerto iniziato la sala è piena e non sono più solo io con i musicisti. Ad un certo punto accade una cosa che, più di tutto il resto, è capace di spiegare quanto questa band sia capace con la sua musica di coinvolgere chi ascolta. Il pubblico comincia a zittire, con insistenza sempre maggiore, i pochi maleducati che stanno parlando durante il concerto. “Questa musica ha bisogno di silenzio” sento dire. A fine concerto il pubblico chiede il bis. E fin qui è tutto normale. Ma chiede anche il tris, che i Locomotif concedono finchè il “buonanotte” perentorio di Federica non pone fine al concerto.

E non è un caso che il concerto si concluda con “Passer-by che fra tutti i pezzi dell’album è quello che si “apre” di più, arrivando alla fine quasi ad esplodere e risolvere quel clima di tensione emotiva che tutto il concerto aveva creato. E quando sei lì, che ci sei quasi, la canzone finisce di botto. Lasciandoti lì così, come un cretino.

Come un amante abbandonato.

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