venerdì 25 febbraio 2011

Marlowe, reverberi di silenzio.

È una fortuna vivere in questo mondo, osservare un fiore, una nuvola vagante, ascoltare un uccello, il sussurro delle spighe in un campo di grano, ammirare i tratti delle persone, le loro tendenze, il loro respiro segreto”. Ingmar Bergman parla così della realtà.


Sembra che i Marlowe abbiano imparato magistralmente la lezione. Da ormai un decennio sono sulla scena e dopo aver collaborato con personaggi del calibro di Cesare Basile e Marcello Caudullo, sembra che con l'ultimo lavoro, “Fiumedinisi” abbiano finalmente trovato la loro dimensione ideale.


Pareti oscure e immerse nei ricordi, pensieri pesanti attaccati alle finestre e gatti accucciati su poltrone di pelle rossa, la band nissena assorbe la realtà e la rigurgita in un tripudio di forme. Mischia colori e dipinge con violenza sulla tela di uno shoegaze stanco. Non c'è rassegnazione, ma un processo lento di metabolizzazione della realtà.

Cercare riferimenti e somiglianze mi sembra alquanto inutile e fine a se stesso, buono solo per chi ama liquidare la musica in due battute. Sono profondamente convinto che ogni band, anche quando tenta di emulare suoni altrui, assorba diversamente la lezione musicale di chi l'ha preceduta.

La maggior parte delle influenze dei Marlowe le ritrovo più nelle altri arti che nei territori di Euterpe, ma per il semplice motivo che lo spessore della loro musica va ben oltre le 12 note e si rifà intensamente alla letteratura e al cinema d'autore (ecco spiegato il riferimento a Bergman). Ancora, i riferimenti letterari che partono proprio dal nome del gruppo, ovvero Marlowe, sono una duplice eredità letteraria: la prima da Philip Marlowe, personaggio di Raymond Chandler che si muove in ambienti ostili ed è affine al disprezzo dell'ordine. In seconda battuta richiama alla mente anche Christopher Marlowe: non meno estraneo all'amore degli ambienti ostili rispetto al personaggio di chandleriana memoria. Christopher adorava le risse e la sua figura ambigua e risoluta fu ripresa e ammirata durante il romanticismo, epoca dalla quale forse i Marlowe (quelli di Caltanissetta!) sono inconsciamente attratti.

Non è un disco facile quello dei nisseni, sia per testi che per la musica. Una perla nel panorama musicale italiano, dove ultimamente emergono artisti mediocri che vengono adulati solo perché suonano “strani” e spesso questo aggettivo rimpiazza con estrema facilità la parola “male”. Già, è una fortuna vivere in questo mondo.

Johnny Cantamessa

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