giovedì 18 marzo 2010

Live report - Waines















Gente seria, che altro dire.
Perché se alla fine del concerto riesci a far cantare le tue canzoni ad un pubblico che non ti conosce beh, allora qualche dote sovraumana la devi pure avere. Ma cominciamo dal principio e da me che già li conoscevo.


Li ho aspettati per mesi i Waines e per mesi sono stata lì a monitorare sul loro Facebook tutti i loro spostamenti. Troppi per ricordarmeli, credo non siano capaci neanche loro di ritracciare il percorso fatto fin’ora attraverso l’Europa. “Siamo stanchi” mi dicono prima del concerto. “In questi tre giorni abbiamo fatto 2mila chilometri in macchina. Ho suonato così tanto che mi fanno male le braccia” mi confida il batterista prima di andare sul palco. Io mi metto il cuore in pace e vabè, mi aspetto un concerto che magari non sarà il massimo.

E invece li vedi salire sul palco e si vede che quello è il loro posto, la loro casa nonostante i chilometri. La loro energia la senti da subito, ti attraversa immediatamente, ma non con una scarica violenta quanto come un formicolio che ti riscalda la schiena. Ascoltare un loro concerto ti fa capire il motivo esatto per cui sono nate le chitarre e perché il blues si è evoluto fino a sporcarsi di rock. Quelle dita riescono a possedere i tasti fino allo spasimo elettrico, ma in maniera così naturale che quelle note ti sembrano quasi dovute, spontanee come parlare. È la batteria che ti spara dentro al ritmo delle bacchette dannate tenute da braccia che stenti a credere siano soltanto due.

Fabio Rizzo (slide guitar e voce), Roberto Cammarata (groove guitar) e Ferdinando Piccoli (drums). Loro e i loro strumenti. Gente seria che non ne avete idea. Il modo più semplice per dare un senso a corde e vibrazioni e (ri)definire il senso di musica andando dritto al punto in cui questa ha modo di essere. Senza deviazioni e senza sbagliare bersaglio: dritto al centro. Musica semplicemente cruda e genuina.

Il pubblico comincia a dire che “tutto questo non è possibile” e a darsi gomitatine l’uno con l’altro per segnalare ogni singola nota, ogni singola battuta, ogni singolo movimento di quei tre sul palco che sembrano stare lì in mezzo alla gente. “Il batterista è pazzo”, mai vista una cosa del genere si dicono i ragazzi del pubblico. “Il nostro batterista è pazzo!” fa loro eco dal palco Fabio “Il nostro batterista, che cazzo!” continua. Ed è lì che la gente ha smesso di guardarli incuriositi e di soppesarli con le orecchie e comincia a muovere la testa. Vedi la gente cercare di cantare le loro canzoni pur non conoscendole, finchè un improvviso cambiamento di ritmo non la fa rimanere così, con la bocca un po’ aperta dallo stupore. Vedi la gente cercare di andare a tempo, ma i Waines non riesci a prenderli: il loro ritmo ti sguscia via quando credevi di averlo tra le mani. Vedi la gente imbambolata in estasi a guardare quelle dita raccontarti storie che non sai. Alla fine quel pubblico si sarebbe fatto incatenare alle aste e lo vedi lasciare a malincuore la sala cantando “woooo woooooo o o o”.


Quando scendono dal palco i Waines sono sudati ma sorridenti.
Credevo foste distrutti” dico loro.
Ma noi siamo distrutti” mi rispondono.
E tu non puoi far altro che pensare che questa è gente seria.

Davvero, non puoi far altro che pensare che questa è gente seria.


Vanessa Castronovo

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