
Alto e magro, con quella chitarra appesa che pare aggrapparsi a lui, sembra essere uscito da un cartone francese, quasi fosse uno dei musicisti del trio di Belleville. Sul palco ci arriva in quando tutto è già in ombra e comincia a cantare “sono un precario” con quegli occhi chiari spalancati sul pubblico oscurato dello “Scenario pubblico”. Dietro di lui un dispiegamento di chitarre che aspettano sull’attenti come caporali.
È una storia di corde pizzicate con cautela. Accordi che sanno di Spagna, di Sicilia, di sole e di caldo di un pomeriggio passato a stropicciare lenzuola di lino cercando di scordare l’afa. Mandolino, banjo, bouzuki, violino, fisarmonica…musiche che sanno di valzer ballati nel grande cortile centrale cercando di ignorare le occhiate di gelosia. Personaggi fiabeschi ed inventati quelli delle sue canzoni, con storie che non sono immagini in bianco e nero, ma riprese analogiche dei sentimenti.
Omaggio a “Ritornerai” di Lauzi mostra in maniera ancora più evidente l’attaccamento di Fabio ai sentimenti del cantautorato, cantati come una preghiera all’orecchio dell’amata. Dalla sua musica si vedono uscire i fantasmi di Tenco, Adamo e Modugno che guardano con approvazione questo 34enne catanese che la musica non la voleva fare. A vederlo così sul palco Fabio Abate si rivela essere una versione più giovane e meglio vestita di Ivan Graziani intenta a spiegarci, con la versione di “Perfect day” di Lou Reed, come la malinconia più che un peso possa diventare un modo più slow di vivere questi anni. E proprio il suo album “Itinerario precario” sembra essere il disco ideale con cui fermare un po’ il tempo e riuscire a dare il giusto peso alle cose.
Tracce
- Precario
- Davanti a te
- Povero pagliaccio
- La bestia che c’è in noi
- Guapo
- Angela
- Maddalena
- Senza farsi male
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